Dall’impotenza che proviamo di fronte alle minacce del cambiamento climatico, fino alla serie interminabile di situazioni di crisi che sembrano ormai succedersi l’una all’altra: il mondo ci pone di fronte a sfide nuove e nel descrivere il nostro rapporto con questi scenari inediti ci mancano le parole. Letteralmente.
Ecco allora una piccola guida dei neologismi che raccontano i cambiamenti climatici e le loro conseguenze su di noi. Dare un nome alle cose è un atto importante, significa accettare che abbiano un riscontro nella realtà, conferire loro la possibilità di essere riconosciute, discusse, interiorizzate. E d’altra parte, se si vuole davvero portare nella riflessione pubblica il dibattito su certe tematiche, avere a disposizione le parole giuste per riuscire nella comunicazione è un requisito fondamentale.
Lo abbiamo sperimentato bene durante la pandemia, quando d’un tratto il nostro lessico quotidiano si è ampliato in maniera repentina, termini come assembramento, congiunti, indice Rt o lockdown hanno fatto la loro comparsa nella lista delle parole di uso comune.
In maniera analoga, anche il fenomeno dei cambiamenti climatici e l’emergenza ambientale stanno creando, un nuovo vocabolario ad hoc: servono parole che ci aiutino a raccontare una occorrenza nuova, a plasmare nei discorsi che facciamo una realtà percepita. Ci indigniamo di fronte a campagne di greenwashing, abbiamo ben presente di cosa parliamo quando ci riferiamo a gas serra, biodiversità ed economia circolare, ma come spiegare invece l’impatto – per esempio psicologico – che l’emergenza riflette su ognuno di noi?
Per rispondere a questa esigenza, abbiamo provato a raccogliere qui di seguito una piccola carrellata di neologismi che raccontano gli aspetti meno visibili dei cambiamenti climatici. Eco-ansia Di fronte alle notizie ricorrenti sugli effetti della crisi ambientale e alle proiezioni di quello che sarà il mondo fra qualche decennio, è facile lasciarsi prendere dallo sconforto. Si tratta di un sentimento condiviso, piuttosto comune ormai, al punto che gli esperti hanno coniato un termine apposito. Si definisce eco-ansia la profonda sensazione di angoscia e di paura che si sperimenta al pensiero ricorrente della crisi ambientale in atto e degli effetti del riscaldamento globale.
Solastalgia Coniato nel 2003 dal filosofo australiano Glenn Albrecht, il termine deriva dall’unione di solace e nostalgia, letteralmente nostalgia del conforto. Con questo neologismo ci si riferisce al senso di malessere che ci invade quando l’ambiente circostante è stato violato, distrutto. Albrecht stesso ha descritto la solastalgia come “un tipo di nostalgia di casa o malinconia che provi quando sei a casa e il tuo ambiente familiare sta cambiando intorno a te in modi che ritieni profondamente negativi“
Kaitiakitanga. Preso in prestito dalla cultura Māori, il termine kaitiakitanga esprime il dovere morale dell’uomo di tutelare l’ambiente, muovendo dall’idea che l’umanità sia strettamente connessa e parte integrante della natura che la circonda. In netto contrasto rispetto al concetto visto precedentemente, in questo caso l’invito è a impegnarsi nella gestione ambientale, a diventare kaitiaki (guardiani), abbracciando il ruolo che ciascuno di noi condivide in direzione di un futuro più sostenibile. Avere le parole giuste per comunicare il nostro personale modo di rapportarci alla crisi non sarà forse risolutivo dell’emergenza climatica, ma certo è un passo importante per affrontarla: il fatto stesso di riconoscere le proprie attitudini in un concetto nuovo ci fa sentire meno soli, più compresi e ci dà consapevolezza. Da qui si parte: attorno a un nuovo vocabolario possiamo ritrovarci e soprattutto possiamo trovare conforto per impegnarci al cambiamento senza farci sopraffare dalla paura del futuro.